Con ordinanza interlocutoria della Terza Sezione del 31 gennaio 2019, n. 2964, la Cassazione ha rimesso la questione dell’inadempimento della Presidenza del Consiglio ai giudici dell’Unione Europea alla direttiva 2004/80/CE, direttiva a favore delle vittime di reati violenti intenzionali. Per la Suprema Corte il dubbio è che gli indennizzi previsti dal precedente Governo e confermati da quello in carica si collochino nell’«area dell’irrisorio». Dunque, dopo dieci anni di causa civile, preceduti dal processo penale, non c’è ancora una risposta definitiva da parte della Giustizia italiana nella “causa pilota” intentata da una ragazza vittima, nel 2005, di sequestro di persona e violenza sessuale, vittima assistita dagli Avv.ti Marco Bona, Umberto Oliva e Francesco Bracciani. Con la sentenza del Tribunale di Torino n. 3145 del 3 maggio 2010 per la prima volta in Italia fu riconosciuto l’inadempimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la mancata attuazione della direttiva 2004/80/CE. La direttiva statuisce per tutti gli Stati UE il seguente obbligo: «Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime» (art. 12, paragrafo 2). La tesi degli avvocati di MB.O – accolta dal Tribunale e poi dalla Corte di Appello di Torino (App. Torino, Sez. III, 23 gennaio 2012, n. 106) – era che anche lo Stato italiano, dal 1° luglio 2005, avrebbe dovuto garantire ai cittadini e agli stranieri, vittime di reati intenzionali e violenti (omicidi dolosi, lesioni dolose, violenze sessuali) commessi sul territorio italiano, un risarcimento (o, perlomeno, un indennizzo) equo e adeguato, ogniqualvolta nei casi di autore del reato rimasto sconosciuto o sottrattosi alla Giustizia o privo di risorse economiche per risarcire la vittima o, nel caso di morte, i famigliari. Nel giudizio avanti la Corte d’Appello era intervenuta, a sostegno dell’inadempimento dell’Italia e della conferma della sentenza di primo grado, anche la Procura Generale della Repubblica di Torino, evidenziando nel suo atto di intervento (sottoscritto dall’allora Sostituto Procuratore Generale Fulvio Rossi) come la tesi sostenuta dalla Presidenza finisse con il trasformare la direttiva in un «mero guscio vuoto», in primo luogo a tutto discapito delle persone residenti in Italia. La Corte d’Appello di Torino, confermando la pronuncia del Tribunale e condannando la Presidenza del Consiglio, affermò la «diretta applicabilità» della direttiva e concluso che «è certo che l’Italia non ha stabilito un sistema di indennizzo per le vittime di violenza sessuale e pertanto è inadempiente». Alla ragazza, quindi, furono riconosciuti 50.000,00 euro, tuttavia ad oggi non ancora corrisposti dallo Stato. Contro questa sentenza il Governo italiano fece poi ricorso in Cassazione già nel 2012. Cosa è successo dal 2012 ad oggi? Nel 2016, in una causa promossa dalla Commissione Europea contro l’Italia, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha condannato il nostro Paese per non avere dato attuazione alla direttiva (Corte giust. Ue, Grande Sezione, 11 ottobre 2016, causa C-601/14). Per scongiurare (invano la condanna) e poi, dopo la sentenza della Corte di Giustizia, per dimostrare di avere adempiuto il legislatore italiano è intervenuto a più riprese per rimediare alla situazione: artt. da 11 a 16, legge 7 luglio 2016, n. 122; decreto interministeriale (Interno, Giustizia, Economia e Finanze) 31 agosto 2017 «Determinazione degli importi dell’indennizzo alle vittime dei reati intenzionali violenti»; art. 6, legge 20 novembre 2017, n. 167; art. 1, commi 593-597, legge 30 dicembre 2018 n. 145. La tesi avanzata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri avanti la Cassazione è che le leggi del 2016 e del 2017 sarebbero tali da soddisfare le pretese delle vittime e pure della ragazza torinese che, pertanto, dovrebbe trovarsi dopo anni di causa a fare domanda allo Stato per l’indennizzo (ridotto a meno di un decimo di quanto riconosciuto congruo dalla Corte di Appello di Torino) e non vedersi neppure rifuse le spese di 10 anni di causa. La tesi sostenuta dagli avvocati dello studio MB.O, invece, è che con gli interventi del 2016 e del 2017 l’Italia non abbia in nessun modo rimediato al suo inadempimento e realizzato gli obiettivi della direttiva e, di fatto, abbia consegnato alle vittime di reati violenti intenzionali una “legge beffa”. Infatti, gli indennizzi previsti sono irrisori. In particolare: a) per il reato di omicidio si prevede l’«importo fisso» (ossia da dividersi fra tutti i famigliari legittimati attivi) di Euro 7.200, incrementato a Euro 8.200 nel caso di omicidio commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che legata, nel passato o al momento del fatto, da relazione affettiva alla persona offesa; b) per il reato di violenza sessuale, di cui all’art. 609-bis c.p., salvo che ricorra la circostanza attenuante della minore gravità, nell’«importo fisso» di Euro 4.800; c) per le lesioni personali: indennizzo a titolo di rifusione delle spese mediche ed assistenziali «fino a un massimo di euro 3.000». Deve aggiungersi che tali importi non sono neppure certi, dato che la loro concessione dipende dalle disponibilità finanziarie (limitate) del Fondo di garanzia. Peraltro, la strada per ottenere tali elemosine di Stato è piena di ostacoli assurdi e vessatori. Con la legge di bilancio del 30 dicembre 2018 il Governo ed il parlamento attuali hanno confermato tale quadro normativo, nuovamente tradendo le aspettative delle vittime. Con l’ordinanza ultima la Cassazione richiede se gli indennizzi previsti dal legislatore siano conformi al principio di indennizzo equo ed adeguato che la direttiva UE del 2004 prevede per le vittime. Sul punto la Cassazione nutre il dubbio, sollevato dai legali della vittima, che non lo siano, affermando che l’importo di euro 4.800 per le vittime di violenze sessuale sia una somma «palesemente non equa».