Lussemburgo. All’udienza del 12 aprile 2016 della causa C-601/14Commissione Europea c. Italia, l’Avvocato Generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), Yves Bot, ha rassegnato le proprie conclusioni, domandando la condanna del nostro Stato per inadempimento della direttiva 2004/80/CE. Questa rilevante causa avanti la Corte di Giustizia era stata avviata con ricorso del 22 dicembre 2014 dalla Commissione Europea, che già a partire dal 2011 contestava allo Stato italiano l’inadempimento degli obblighi di cui alla direttiva 2004/80/CE relativa all’indennizzo delle vittime di reati violenti intenzionali, senza mai ricevere risposte soddisfacenti (anzi, in talune occasioni promesse di interventi legislativi mai calendarizzati). In particolare, la Commissione, sollecitata da diverse denunce, nel suo ricorso aveva criticato l’Italia per l’assenza di un sistema generale di indennizzo per le vittime di qualsiasi tipo di reato intenzionale violento commesso all’interno del territorio italiano. Al riguardo, può ricordarsi quanto segue. La direttiva statuisce per tutti gli Stati UE il seguente obbligo: «Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime» (art. 12, paragrafo 2). In pratica, anche lo Stato italiano dovrebbe garantire alle vittime di reati intenzionali violenti (innanzitutto, omicidi dolosilesioni doloseviolenze sessualicommessi sul territorio nazionale, un risarcimento (o, perlomeno, un indennizzo) equo ed adeguato, ciò ogniqualvolta l’autore del reato sia rimasto sconosciuto oppure si sia sottratto alla giustizia o, in ogni caso, non abbia risorse economiche per risarcire la persona lesa e/o i suoi famigliari. Come espressamente previsto dall’art. 18 della direttiva, il nostro legislatore avrebbe dovuto attuare detto sistema entro il 1° luglio 2005. Tuttavia, il d.lgs. 9 novembre 2007 n. 204, recante, a dire del legislatore, l’attuazione (comunque già tardiva!) della direttiva, non prevede alcun sistema generalizzato di tutela indennitaria per le vittime in questione, sicché numerosi sono i casi in cui il diritto sancito dalla direttiva non è garantito in Italia: in primo luogo, non sono protette le vittime di gravi lesioni personali intenzionali, i famigliari delle vittime di omicidi dolosi “comuni”, le vittime di violenze sessuali. Peraltro, ad aggravare la posizione del nostro Paese, deve sottolinearsi come l’Italia sia da ancor più anni inadempiente alla Convenzione Europea del 1983 che prevede analoghi diritti. Inoltre, lo Stato italiano è pure inadempiente alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell’11 maggio 2011 (Convenzione di Istanbul), entrata in vigore il 1° agosto 2014, che all’art. 30 («Risarcimenti») prevede per le donne vittime di violenze una tutela rimediale assimilabile a quella contemplata dalla direttiva 2004/80/CE. Ciò ricordato, le conclusioni, presentate all’udienza del 12 aprile dall’Avvocato Generale della Corte di Giustizia, costituisce un’importantissima conferma delle tesi sostenute dalla Commissione Europea avverso l’Italia. Infatti, l’Avvocato Generale ha riconosciuto a chiare lettere come la direttiva preveda in effetti che ciascuno Stato sia dotato in primo luogo di un sistema di indennizzo generalizzato a tutela delle vittime di reati violenti intenzionali occorsi nel suo territorio: «Contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica italiana, gli Stati membri devono […] aver previsto un sistema di diritto all’indennizzo per tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi sul loro territorio e sanzionati dalle loro leggi nazionali». Dunque, l’Avvocato Generale ha smentito che la direttiva contempli obblighi per gli Stati soltanto nei casi transfrontalieri: tanto lo Stato deve garantire coperture indennitarie per i suoi cittadini quanto per gli stranieri di passaggio. La direttiva, in altri termini, garantisce le vittime anche nelle situazioni “domestiche” od “interne” (per esempio: ragazza italiana uccisa o violentata da uno sconosciuto in una città italiana). Inoltre, l’Avvocato Generale ha così respinto l’argomento dell’Italia per cui i legislatori nazionali potrebbero limitare, a loro totale discrezione, i casi di reati violenti intenzionali rilevanti ai fini della tutela indennitaria statale: «Il carattere generale, riconosciuto dagli Stati membri, del principio dell’indennizzo per i reati il cui autore sia solvibile garantisce la parità di trattamento. Il fatto che, ove l’autore non sia noto o sia insolvente, determinati Stati membri garantiscano l’indennizzo mediante fondi pubblici soltanto per alcuni di detti reati pregiudica tale parità di trattamento. Detta situazione crea infatti una disparità su due livelli, ossia, da una parte, nell’ordinamento interno e, dall’altra, aspetto questo su cui si concentra primariamente la nostra attenzione nell’ambito del presente ricorso, nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, dato che, ad esempio, in un determinato Stato la tetraplegia di una vittima potrebbe essere indennizzata se derivante da una pallottola esplosa da un terrorista, ma non se l’autore dello sparo stesse commettendo una rapina a mano armata, mentre nello Stato vicino, vale a dire eventualmente qualche decina di metri più in là, l’indennizzo potrebbe essere garantito in entrambi i casi. Un siffatto risultato non è né equo né adeguato». Per l’Avvocato Generale, quindi, gli Stati non possono limitare gli indennizzi statali a favore delle vittime in questione soltanto a determinate categorie di vittime, come ha fatto l’Italia ove soltanto alcune particolari vittime sono protette (vittime del terrorismo e della crimalità organizzata, vittime di Ustica, vittime della uno bianca), mentre altre non godono di nessuna tutela (per esempio, le vittime di omicidi intenzionali “comuni” e le vittime di violenze sessuali). Per questi ed altri motivi l’Avvocato Generale ha concluso proponendo alla Corte di Giustizia di dichiarare l’inadempimento dell’Italia rispetto agli obblighi europei. Nello specifico, l’Avvocato Bot ha suggerito alla Corte di Giustizia di «constatare che, avendo omesso di adottare un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio, la Repubblica italiana è venuta meno all’obbligo ad essa incombente in forza dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato, e condannare la Repubblica italiana alle spese». Si spera vivamente che la Corte di Giustizia, come del resto avviene nella stragrande maggioranza dei casi, aderisca alle conclusioni dell’Avvocato Generale. Per l’Avv. Marco Bona, il quale già nel lontano 2002 aveva preso parte alle consultazioni della Commissione Europea all’origine della direttiva, «le conclusioni rassegnate dall’Avvocato Bot sono assolutamente fondate in quanto considerano sia le chiare indicazioni recate dal testo della direttiva che i lavori preparatori e gli obiettivi perseguiti dal legislatore europeo, il quale ha inteso far sì che le persone siano tutelate ovunque nell’Unione Europea e, quindi, anche nei propri stati di residenza, qualora ivi vittime di reati violenti intenzionali. Invero, la direttiva, qualora interpretata secondo buona fede, non può che condurre alle conclusioni raggiunte dall’Avvocato Generale. L’Italia, già inadempiente rispetto alla Convenzione Europea del 1983 sullo stesso tema, è da oltre un decennio che si oppone, per evidenti ragioni di risparmio, al riconoscimento dei diritti garantiti dalla direttiva, costringendo così le vittime di gravissimi reati a rivolgersi alla magistratura anche per ricevere un indennizzo che lo Stato dovrebbe garantire senza imporre ulteriori patimenti». L’Avv. Bona, insieme al suo collega di studio AvvUmberto Oliva ed al penalista Avv. Francesco Bracciani, sulla base delle stesse tesi oggi sostenute dall’Avvocato Generale assiste da anni, nella “causa pilota” intentata nel 2009 contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’inadempimento della direttiva, una ragazza torinese rimasta vittima di una violenza sessuale di gruppo, impossibilitata a conseguire un risarcimento dai suoi due aguzzini. Il Tribunale di Torino e la Corte di Appello di Torino, rispettivamente nel 2010 e nel 2012, avevano dato ragione agli avvocati della ragazza, riconoscendo, per la prima volta, la responsabilità della Presidenza del Consiglio, con conseguente condanna al risarcimento del danno. In sede di appello, a sostenere le ragioni della vittima era anche intervenuta la Procura Generale della Repubblica di Torino, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Fulvio Rossi, il quale aveva sostenuto come la Presidenza del Consiglio finisse con il trasformare la direttiva in un «mero guscio vuoto», ciò a tutto discapito delle persone residenti in Italia. Nel 2012 la causa della ragazza torinese, che nel frattempo ha convinto altri tribunali (Roma e Milano) a riconoscere la responsabilità dello Stato, è, infine, approdata in Cassazione, ove nel 2015 il processo è stato sospeso, giustappunto nell’attesa della sentenza della Corte di Giustizia nella causa C-601/14. Che, allora, sia la volta buona? Così l’Avv. Bona: «Per ora dobbiamo sperare che la Corte di Giustizia aderisca alle conclusioni dell’Avvocato Generale. Sarebbe, però, davvero strano, anzi allarmante, se la Corte assumesse una decisione diversa. Senz’altro, nell’ipotesi di conferma da parte della Corte di Giustizia, la Cassazione, nel caso della ragazza torinese, non potrà che adeguarsi e, quindi, il legislatore italiano sarà finalmente costretto ad adempiere. E’ davvero un peccato che per oltre dieci anni i Governi ed i parlamentari non abbiano dato piena attuazione alla direttiva. Anche l’ultimo Governocontinua a negare, anche dinanzi alla Corte di Giustizia, la tutela indennitaria che, per volontà del legislatore europeo, spetta alle vittime che hanno subito reati gravissimi (l’uccisione dolosa di un famigliare, lesioni personali altamente invalidanti, stupri), il che, peraltro, stride con gli annunci di risarcimenti statali a favore di azionisti e correntisti truffati dalle banche».

 

 

 

13 Aprile 2016