Con la sentenza del 7 aprile 2015 nel caso Cestaro c. Italia la Corte di Strasburgo ha sancito la responsabilità dello Stato italiano per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea non solo in quanto i suoi agenti di polizia avevano posto in essere vere e proprie torture ai danni del ricorrente (un anziano che si trovava presso la scuola Diaz al momento del pestaggio collettivo perpetrato il 21 luglio 2001 in occasione del G8 di Genova), ma anche per l’insufficienza della legislazione italiana e del nostro sistema penale quanto alla punizione dei responsabili delle torture: «la Corte ritiene che la reazione delle autorità sia stata inadeguata a fronte della gravità dei fatti». La Corte ha addebitato all’Italia: 1) la mancata identificazione degli autori dei maltrattamenti, occorsa per il «difetto di cooperazione della polizia durante le indagini»; 2) l’intervento di prescrizioni con riferimento a diversi reati (eppure gravi) e l’estrema esiguità delle (poche) pene comminate. Per la Corte «la legge penale italiana applicata in questo caso […] ha dimostrato di essere inadeguata rispetto all’esigenza della sanzione della tortura»; peraltro, «manca il necessario effetto deterrente per prevenire simili violazioni dell’art. 3 in futuro». La Corte ha pure affermato che il risarcimento del danno non è sufficiente a costituire un rimedio esaustivo ed adeguato dinanzi a gravi condotte lesive di diritti dell’uomo: «la reazione delle autorità non può essere limitata al risarcimento della vittima». Dunque, la concessione di un rimedio risarcitorio non fa venir meno il diritto della vittima a conseguire la sanzione penale dei responsabili. L’Avv. Marco Bona nel commentare tale pronuncia sul sito www.ridare.it ha osservato: «essa ci consegna un quadro decisamente negativo per il nostro Paese: dinanzi a gravi violazioni di diritti fondamentali (poste, peraltro, in essere da agenti di polizia e da rappresentanti delle istituzioni) lo Stato italiano appresta reazioni estremamente contenute, connotate da ampi margini di impunità per gli autori dei reati, con la conseguenza pure di un netto e periglioso ridimensionamento della funzione preventiva e di deterrence del sistema penale. Ancora una volta indulti, prescrizioni dei reati e sconti nella determinazione delle pene sproporzionati rispetto alla gravità degli illeciti gravano in negativo sull’immagine del nostro Paese. Il messaggio della Corte Europea è chiaro: un sistema penale, che, dinanzi alla violazione di precetti fondamentali della Convenzione, si risolve in assoluzioni per intervenute prescrizioni o condanna a pene esigue o, per indagini inefficaci, neppure individua gli autori materiali di condotte ascrivibili allo Stato, è lungi dal sottrarsi a sentenze Cedu di questo tipo, non essendo sufficiente accordare alle vittime dei risarcimenti, peraltro obbligando queste ultime ad adire i giudici civili per una riparazione integrale».

 

 

 

10 Aprile 2015