La legge 7 luglio 2016 n. 122 («Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2015-2016») reca disposizioni finalizzate, a dire del legislatore, ad attuare il sistema di indennizzo nazionale imposto dalla direttiva 2004/80/CE in favore delle vittime di reati violenti intenzionali che non possano conseguire risarcimenti dai loro offensori (in quanto rimasti ignoti o privi di risorse economiche). Perché Governo e Parlamento hanno deciso all’ultimo di inserire questa nuova disciplina? Non già perché è da oltre dieci anni che l’Italia è in grave ritardo nell’attuazione della direttiva, ma in quanto volge ormai al termine la procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea. Infatti, la Corte di Giustizia UE sta per decidere la causa Commissione europea c. Repubblica Italiana (causa C-601/14), ove l’Avvocato Generale Yves Bot ha già assunto il 12 aprile 2016 delle conclusioni nettamente sfavorevoli per l’Italia (per Bot, «Contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica italiana, gli Stati membri devono […] aver previsto un sistema di diritto all’indennizzo per tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi sul loro territorio e sanzionati dalle loro leggi nazionali»). In sintesi con la legge n. 122/2016 Esecutivo e sua maggioranza hanno cercato di correre ai ripari, approdando così ad una disciplina frettolosamente redatta. Ad ogni modo, a prescindere dalle sue motivazioni e dalle modalità della sua approvazione, occorre verificare quanto segue: la nuova legge costituisce una corretta attuazione della direttiva europea? Purtroppo, la risposta a questo quesito è in tutto e per tutto negativa: non lo è. Infatti, nonostante la valutazione finale del provvedimento sia da rinviarsi ad un successivo decreto ministeriale (che dovrà essere emanato entro sei mesi dal 23 luglio 2016), è già possibile affermare come la legge in commento sia lungi dal rappresentare un corretto ed esaustivo adempimento della direttiva. Anzi, ci troviamo dinanzi ad una vera e propria beffa. Lo Stato italiano, ancora una volta, rimane volutamente inadempiente alla direttiva, che, invece, all’art. 12, § 2, prevede, a carico degli Stati, la seguente tutela rimediale per le vittime di reati violenti intenzionali: «Tutti gli Stati membri provvedono a ché le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime». In particolare, a conferma del (tuttora!) perdurante inadempimento dell’Italia, dagli articoli da 11 a 16 della legge n. 122/2016 emerge quanto segue: 1) sicuramente le vittime dilesioni personali dolose (anche quelle con gravissime macrolesioni) avranno unicamente diritto al rimborso delle spese mediche ed assistenziali, qualora documentate; in pratica, una persona resa paraplegica da dei balordi per il resto della sua vita non avrà nessuna tutela dallo Stato, diversamente da quanto previsto dalla direttiva; 2) le vittime di violenze sessuali così come i famigliari delle vittime di omicidi dolosi potranno accedere a degli indennizzi soltanto se con un redditto famigliare inferiore ad Euro 11.500,00 annui e, in ogni caso, unicamente dopo l’intervento di una sentenza di condanna in sede penale e dopo avere speso inutilmente soldi e tempo in azioni esecutive (dunque, solo dopo moltissimi anni di attesa e soldi buttati al vento); 3) per tutte le vittime basterà ricevere un prestito da parte di un parente o di un amico per perdere per intero il diritto all’indennizzo (in pratica, stando alla nuova legge, la vittima, al fine di ricevere la tutela indennitaria a carico dello Stato, dovrebbe rinunciare per anni a qualsiasi supporto pubblico o privato); 4) il legislatore ha previsto uno stanziamento annuo per tutte le vittime di reati intenzionali violenti di soli Euro 2.600.000, assumendo in tale calcolo un numero irrisorio di vittime e, soprattutto, degli indennizzi ridicoli per le vittime (per i casi di uccisione la relazione tecnica ipotizza un indennizzo fisso massimo di 7.000 Euro da dividersi tra tutti i famigliari ed eredi di una persona uccisa; la stessa relazione ipotizza Euro 5.000 massimo per una ragazza violentata), nonostante la direttiva del 2004 imponga agli Stati di provvedere indennizzi “equi ed adeguati” (si auspica che il Governo abbia un rispensamento sul punto in occasione dell’emanazione del decreto minsiteriale, ma parrebbe ormai vincolato dal limite di finanziamento fissato dalla novella legislativa per l’appunto sulla base dei predetti importi); 5) gli stanziamenti previsti dal legislatore sono palesemente insufficienti. Peraltro, il paradosso è che la tutela introdotta dalla legge n. 122/2016 è di gran lunga peggiore rispetto a quella prevista in favore di detenuti ed internati. Il carcerato, il quale si trovi costretto in una cella angusta, può aspirare ad un risarcimento che, invece, non è garantito alla sua vittima, relegata a letto per il resto della sua vita! Ovviamente la tutela del primo è sacrosanta; ma dovrebbe risultare così anche quella della vittima e dei suoi famigliari. Insomma, lo si ripete, ci troviamo dinanzi ad una autentica beffa, che, tra l’altro, darà luogo ad ulteriori contenziosi sia in Italia che dinanzi alla Corte di Giustizia. Sicuramente la legge n. 122/2016, per tali sue caratteristiche e, comunque, non essendo retroattiva, non inciderà sulle cause già in corso conto la Presidenza del Consiglio dei Ministri per inattuazione della direttiva del 2004. Ciò illustrato, è davvero triste dover constatare che dal 2004 i governi italiani si siano costantemente rifiutati di adempiere alla direttiva e che tale posizione, per manifeste ragioni di risparmio in danno delle vittime, prosegua inalterata con l’attuale Esecutivo Renzi e la sua maggioranza parlamentare, i quali, con la farlocca legge n. 122/2016, fanno addirittura rimpiangere l’assenza di una qualsivoglia norma attuativa. L’Avv. Bona, che ha promosso la “causa pilota” torinese sfociata nella prima condanna dell’Italia per omesso adempimento della direttiva 2004/80/CE (causa ora pendente in Cassazione), all’indomani dell’approvazione della legge ha già denunciato le gravissime lacune della nuova legge nell’intervista a Sarah Martinenghi pubblicata su Repubblica.it del 5 luglio 2016 cfr.
3 Agosto 2015