Con la sentenza del 7 novembre 2024 resa nella causa C-126/23, ECLI:EU:C:2024:937, che vedeva la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’Interno italiani contrapposti ai genitori, la sorella e i figli della vittima di un omicidio, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che l’esclusione automatica, da parte del legislatore italiano, di taluni familiari della vittima di un omicidio non garantisce un indennizzo «equo ed adeguato» ai fini della Direttiva 2004/80/CE.
In questa vicenda nel 2018 un giudice italiano aveva condannato l’autore dell’omicidio della sua ex compagna a versare un risarcimento ai familiari della vittima.
Poiché il reo di femminicidio era nullatenente, lo Stato italiano aveva versato un indennizzo soltanto ai figli della vittima e al suo coniuge, dal quale, tuttavia, la defunta era già separata da anni 2. In particolare, conformemente alla (carente) normativa nazionale, poiché l’autore dell’omicidio era privo di beni e redditi ed era stato ammesso al gratuito patrocinio, lo Stato italiano aveva corrisposto, a ognuno dei due figli soltanto, un indennizzo dell’importo di EUR 20 000 ciascuno, mentre al coniuge separato era stato riconosciuto un indennizzo dell’importo di EUR 16 666,66. Attesi i limiti della normativa italiana tale da negare loro una tutela conforme alla Direttiva 2004/80/CE, i genitori, la sorella e i figli della vittima avevano adito il Tribunale ordinario di Venezia, chiedendo un indennizzo “equo ed adeguato”, che tenesse conto del danno da loro subito a causa dell’omicidio.
Il Tribunale veneto aveva ritenuto di rivolgersi alla Corte di Giustizia ponendo la seguente domanda di rinvio pregiudiziale: «se la corresponsione dell’indennizzo stabilito in favore dei genitori e della sorella di una vittima dei reati intenzionali violenti, nel caso [di] omicidio, dall’articolo 11, comma 2 bis, della [legge n. 122/2016], essendo subordinata all’assenza di figli e coniuge della vittima (quanto ai genitori) ed all’assenza dei genitori (nell’ipotesi di fratelli o sorelle), risulti conforme a quanto prescritto dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 nonché agli articoli 20 (uguaglianza), 21 (non discriminazione), 33 comma 1 (protezione della famiglia), 47 (Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale) della Carta dei diritti fondamentali dell’[U]nione [e]uropea ed articolo 1 prot. 12 della [Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950] (non discriminazione)».
La Corte di Giustizia ha innanzitutto statuito che la nozione di “vittime” ai fini della direttiva deve essere intesa nel senso che include anche le vittime indirette di un atto qualificato come reato intenzionale violento, quali i familiari stretti della persona deceduta a causa di tale reato, quando subiscono, di riflesso, le conseguenze di quest’ultimo.
Al riguardo può ricordarsi che la Direttiva 2012/29/UE (la “direttiva vittime”) fornisce la seguente definizione generale di «vittima»: «i) una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato; ii) un familiare di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona». Il novero di famigliari incluso nella definizione di «vittima», annovera «il coniuge, la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuo, i parenti in linea diretta, i fratelli e le sorelle, e le persone a carico della vittima». La categoria minima di vittime protette dal diritto UE è, dunque, molto ampia. Sul tema si segnala un nostro importante contributo: M. Bona, La nozione legislativa di «vittima del reato» (legge n. 134/2021): quali ricadute su risarcimenti e indennizzi, in Responsabilità Civile Previdenza, Giuffré, 2022, n. 4, 1376- 1416.
La Corte di Giustizia ha poi affermato i seguenti principi:
- «uno Stato membro eccederebbe il margine di discrezionalità accordato [dal diritto UE] se le sue disposizioni nazionali prevedessero un indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti puramente simbolico o manifestamente insufficiente alla luce della gravità delle conseguenze del reato per tali vittime»;
- «un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti non può […] escludere automaticamente taluni familiari dal beneficio di qualsiasi indennizzo per il solo fatto che siano presenti altri familiari, senza che possano essere prese in considerazione considerazioni […] quali, in particolare, le conseguenze materiali derivanti, per tali familiari, dalla morte per omicidio della persona di cui trattasi o il fatto che detti familiari fossero a carico della persona deceduta o conviventi con essa»; infatti, è necessario tenere conto «della sofferenza e della gravità delle conseguenze del reato».
La Corte di Giustizia, pertanto, ha così concluso: «L’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato, dev’essere interpretato nel senso che: esso osta a una normativa di uno Stato membro che prevede un sistema di indennizzo per i reati intenzionali violenti che subordina, in caso di omicidio, il diritto all’indennizzo dei genitori della persona deceduta all’assenza di coniuge superstite e di figli di tale persona e quello dei fratelli e delle sorelle di quest’ultima all’assenza di detti genitori».
Questa importante sentenza si basa in larga misura sulla precedente storica pronuncia della Grande Sezione della Corte di Giustizia UE del 16 luglio 2020, B.V. c. Presidenza del Consiglio dei Ministri, C‑129/19, EU:C:2020:566, causa in cui la vittima – una ragazza vittima di violenza sessuale, lesioni personali e sequestro – era assistita dagli Avv.ti Marco Bona, Umberto Oliva e Francesco Bracciani. L’Avv. Bona aveva discusso il caso avanti la Corte di Giustizia.
La nuova pronuncia della Corte espande ulteriormente i diritti delle vittime di reati violenti intenzionali, mettendo in luce le gravissime lacune e pecche della normativa italiana (in particolare della legge 7 luglio 2016, n. 122), vizi più volte denunciati anche dal nostro studio.
Questa sentenza rende in larga misura superflua la risposta richiesta alla Corte di Giustizia Ue da parte della Suprema corte italiana (Cass. civ., Sez. III, Ord., 27 settembre 2024, n. 25872), che ha posto la seguente domanda di pronuncia pregiudiziale: «se – con riguardo alla situazione di intempestivo (e/o incompleto) recepimento nell’ordinamento interno della direttiva 2004/80/CE […] quanto alla istituzione, da essa imposta, di un sistema di indennizzo delle vittime di reati violenti residenti in uno Stato membro dell’Unione, che fa sorgere la responsabilità risarcitoria dello Stato stesso, in forza dei principi enunciati dalla giurisprudenza della CGUE (cfr., con specifico riferimento alla direttiva suddetta, la sentenza della Grande Sezione del 16 luglio 2020, in C. 129-19, in particolare par. 56) – il diritto dell’Unione imponga che tale responsabilità risarcitoria sia affermata nei confronti di ogni familiare di una persona la cui morte sia stata causata da un reato siffatto, purché abbia subito un danno in conseguenza del decesso di tale persona, neppure esclusi gli ascendenti diversi dai genitori, nonché i fratelli e/o sorelle e ogni altro parente in via collaterale, diversamente da quanto previsto dall’art. 11, comma 2-bis, della legge 7 luglio 2016, n. 122, secondo cui, “in caso di morte della vittima in conseguenza del reato, l’indennizzo è corrisposto in favore del coniuge superstite e dei figli”, nonché, ma solo “in mancanza del coniuge e dei figli”, ai genitori e, in assenza anche di costoro, ai fratelli e alle sorelle, per questi ultimi, però, solo alla duplice condizione che fossero conviventi con il defunto, nonché a carico dello stesso al momento della commissione del delitto».
Tuttavia, si potrebbe osservare come questa domanda della Cassazione concerna specificatamente anche la posizione di nonni e zii, non espressamente considerati dalla sentenza della Corte di Giustizia del 7 novembre 2024.
Ovviamente rimane sul tavolo la manifesta insufficienza degli indennizzi previsti dal legislatore italiano, che neppure permettano di differenziare, in base alla gravità dei pregiudizi, tra le singole vittime. Gli indennizzi sono enormemente inferiori agli standard risarcitori e pure ad altri sistemi di indennizzo riconosciuti a livello nazionale.
Ferma restando l’ulteriore questione di conformità al diritto UE del limite costituito dal tetto massimo e complessivo di Euro 50.0000 (o di Euro 60.000 per l’omicidio commesso da persona legata da relazione affettiva alla persona uccisa), altro è il problema della tenuta costituzionale – innanzitutto alla luce dell’art. 3 Cost. – di tale parametro monetario fisso, a prescindere dal numero di congiunti e dalla gravità dei danni, previsto dalla legge n. 122/2016.
Su queste questioni si rinvia al seguenti articolo su questo sito internet: M. Bona, Case C-129/19 & Directive 2004/80/CE: a landmark judgement by the Court of Justice on state compensation for victims of violent international crimes, in MB.O law review, 3/2020, mbolaw.it.