L’11 dicembre 2018 Marco Bona ha partecipato ad Anderlecht, Bruxelles, al workshop “From social auditing to human rights due diligence”, organizzato da Clean Clothes Campaign e dal Business & Human Rights Resource Centre, due eminenti organizzazioni internazionali impegnate da anni sul fronte della tutela dei diritti dell’uomo. Il workshop era centrato sui profili critici ed i fallimenti del sistema delle cd. “certificazioni etiche” e, quindi, sullo stato attuale della responsabilità sociale delle imprese e sul connesso obbligo di due diligence aziendale (giustappunto la “human rights due diligence“), tema su cui sono intervenute nel 2011 anche le Nazioni Unite con le “UN Guiding Principles on Business and Human Rights” (i ”Principi Guida su imprese e diritti umani“) per l’appunto recanti anche delle disposizioni in materia di “due diligence” sociale. Le “certificazioni etiche”, in breve, attestano che le imprese certificate realizzano il proprio business dando attuazione nelle proprie strategie aziendali ai criteri di sostenibilità e di responsabilità sociale, con particolare attenzione alla sicurezza dei lavoratori ed il loro trattamento sul piano lavoristico (retribuzioni adeguate, assenza di discriminazioni, tutela dei minori e delle donne, diritti sindacali, ecc.), nonché attenzione alla tutela dell’ambiente ed al welfare delle comunità locali. Tali certificazioni sono impiegate dalle imprese, innanzitutto quelle che hanno delocalizzato produzioni o servizi in zone economicamente e socialmente arretrate, per poter importare prodotti e servizi nei Paesi occidentali (USA, Canada, Europa) oltre che per attestare l’etica della loro catena produttiva, ciò al fine di competere sul mercato e soddisfare le aspettative dei consumatori più sensibili. Tuttavia, come confermato anche durante il workshop e purtroppo pure da gravissime tragedie (per esempio, Rana Plaza in Bangladesh e Baldia in Pakistan), nel corso degli anni sono state certificate come sicure e conformi al rispetto dei diritti umani attività lungi dall’essere in linea tanto con gli standard etici più basilari che con le misure di sicurezza più elementari. Le responsabilità sono di società di certificazione, che, spesso eppure blasonate e internazionalmente note (innanzitutto nel campo delle certificazioni marittime), non esitano ad emettere certificati sociali attestanti la sicurezza delle attività scrutinate nonostante l’assenza di requisiti fondamentali. Nell’ambito del workshop Marco Bona ha portato le esperienze professionali maturate dallo studio MB.O in relazione a certificazioni negligentemente rilasciate ed in alcune occasioni formate sulla base di autentiche falsificazioni delle realtà aziendali. Fra i casi seguiti dallo studio MB.O e portati all’attenzione dell’uditorio di Bruxelles, la certificazione di una fabbrica tessile a Baldia in Pakistan andata a fuoco con la morte di 257 lavoratori (certificata soltanto tre settimane prima come sicura e conforme agli standard SA8000) e la certificazione/classificazione di navi poi affondate causando la morte di numerosi passeggeri. Il workshop si è concluso con diverse proposte finalizzate da un lato a percorrere altre vie rispetto al sistema delle certificazioni sociali (giustappunto rilevatesi fallimentari ai fini dell’attuazione dei principi etici a tutela dei lavoratori) e dall’altro lato a migliorare tale sistema. Fra le misure volte a rendere efficace il sistema del “social auditing” sono state individuate le seguenti: 1) trasparenza delle certificazioni etiche (dunque, pubblicazione dei rapporti dei certificatori al momento del rilascio delle certificazioni, ciò anche al fine di vincolare le società di “auditing” alle proprie responsabilità nell’eventualità di successive tragedie o, comunque, nel caso di emersioni di situazioni differenti rispetto a quelle riportate in sede di certificazione); 2) protezione legale dei certificatori che denuncino le violazioni riscontrate (whistleblower legal protection degli auditors); 3) istituzione di una authority competente a sanzionare marchi e certificatori per certificazioni false. Più in generale è stata messa a fuoco la necessità di sviluppare delle norme comuni, perlomeno a livello di Unione Europea, sulla responsabilità civile delle società di certificazioni etiche.