Immunità giurisdizionale, disastri navali ed enti certificatori: storica sentenza della Cassazione

  1. La questione “immunità giurisdizionale” degli enti certificatori.

Non è raro che dietro a rilevanti disastri si annoverino anche responsabilità di enti certificatori che hanno avvallato, secondo standard tecnici, situazioni invero a rischio per la salute delle persone o per l’ambiente. Si pensi alla certificazione di navi, aerei e treni, ma anche, per fare degli esempi, di stabilimenti destinati alla produzione (per esempio, il caso dell’incendio della Ali Enterprises di Baldia, Pakistan, od il crollo del Rana Plaza di Savar, Dacca, Bangladesh), di impianti sportivi, di edifici, di caldaie, di prodotti vari, di medical devices, ecc..

Tali enti, peraltro, talvolta possono avere rilasciato i certificati in ragione di deleghe od autorizzazioni statali (come, per esempio, è il caso della navigazione marittima).

Quindi, l’eccezione dell’immunità giurisdizionale – privilegio che, dinanzi a determinate categorie di attività, possono vantare gli Stati – può divenire un problema nei processi avverso tali enti, esattamente come successo nel caso dell’affondamento del traghetto “Al Salam Boccaccio ‘98”. Tali enti, infatti, sostengono di poter godere di tale immunità per il fatto di avere agito su delega statale.

Per quasi un decennio le vittime della tragedia dell’“Al Salam Boccaccio ‘98” sono stati tenuti bloccati nei loro processi avverso l’ente certificatore della nave dall’eccezione, sollevata da quest’ultimo, di “immunità giurisdizionale”.

L’importanza della sentenza da ultimo emanata dalle Sezioni Unite della Cassazione, qui commentata e preceduta nello stesso caso dalla pronuncia della Corte di Giustizia UE del 7 maggio 2020 (causa C-641/18), risiede proprio nel risultato, netto ed inequivocabile, di avere posto fine a tale tipo di eccezioni.

  1. La sentenza Cass. civ., Sez. Un., 10 dicembre 2020, n. 28180

Con questa importante pronuncia le Sezioni Unite della Cassazione hanno innanzitutto affermato che il principio di diritto internazionale consuetudinario sull’immunità giurisdizionale degli Stati si estende ai soli atti compiuti dagli Stati iure imperii, secondo l’accezione ristretta propria di questo termine, che allude esclusivamente agli atti di governo, precisando che tale qualificazione non può essere riconosciuta in presenza di mere attività di ordine genericamente statuale, come tali rimesse alla responsabilità dello Stato seppur svolte, tramite designazione, da società private, dal momento che la nozione di immunità rileva solo quando la controversia riguardi gli atti involgenti le prerogative sovrane.

Muovendo da questo principio le Sezioni Unite hanno escluso l’immunità giurisdizionale di RINA, Registro Italiano Navale, S.p.A., quale ente di certificazione della sicurezza per conto dello Stato di Panama e quale società di classificazione rispetto all’azione civile di responsabilità intentata dai parenti delle vittime e da alcuni sopravvissuti del disastro marittimo della nave “Al Salam Boccaccio ‘98” verificatosi nel Mar Rosso la notte fra il 2 e il 3 febbraio 2006, con la morte di 1097 persone, tra le più gravi tragedie del mare.

È stata così definitivamente superata dalle vittime della tragedia, in causa dal 2010 avanti il Tribunale di Genova, l’eccezione di immunità giurisdizionale sollevata da RINA.

La sentenza è già assurta agli onori della cronaca nazionale ed internazionale:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/11/la-causa-al-rina-per-lincendio-della-al-salam-boccaccio-si-deve-tenere-in-italia-cassazione-ferma-la-fuga-a-panama-dellentecertificatore/6033765/

https://genova.repubblica.it/cronaca/2020/12/14/news/naufragio_al_salam_la_cassazione_niente_immunita_al_rina-278366870/

https://lloydslist.maritimeintelligence.informa.com/LL1132278/EU-court-rules-against-Italian-class-society-over-2006-ferry-disaster

  1. Le precedenti tappe: la sentenza della Corte di Giustizia nel caso Boccaccio.

Più di 1.000 persone persero la vita quando l’Al Salam Boccaccio 98 subì un incendio a bordo, si capovolse e affondò repentinamente il 3 febbraio 2006 nel Mar Rosso mentre era in rotta verso l’Egitto dall’Arabia Saudita. Fu uno dei più gravi incidenti marittimi nei tempi moderni e le parti lese lamentano che la nave avrebbe navigato nonostante gravi difetti e carenze sotto il profilo della sicurezza.

Il traghetto aveva bandiera panamense, ma era certificato da compagnie italiane specializzate nella valutazione della sicurezza delle navi marittime, RINA S.p.A. e, in precedenza, la sua controllante Ente Registro Italiano Navale. Entrambe hanno sempre avuto sede a Genova.

Rispettivamente nel 2010 e nel 2013 centinaia di sopravvissuti e parenti delle vittime, assistite da avvocati degli studi legali Bona Oliva e Associati (MB.O) ed Ambrosio e Commodo (A&C) di Torino insieme agli avvocati Carlos Villacorta (Spagna), Jean Pierre Bellecave (Francia), Nigel Taylor (Regno Unito), Robert Lieff (U.S.A.) e Yasser Fathy (Egitto), avevano avviato azioni risarcitorie per ottenere il risarcimento dei danni contro RINA ed Ente Registro Italiano Navale avanti il Tribunale di Genova.

Agendo in giudizio, le parti lese avevano sostenuto che la certificazione del traghetto come nave idonea ad una navigazione in sicurezza non fosse rispondente alle reali condizioni del naviglio (invero vetusto ed a rischio) e, pertanto, le omissioni dell’ente certificatore avesse concorso al naufragio e, comunque, ai decessi e, per i sopravvissuti, al loro calvario.

RINA, quale prima difesa, aveva opposto di avere certificato la nave per conto dello Stato di Panama e, quindi, che avrebbe dovuto godere della stessa immunità garantita agli Stati, quindi non potendo la giustizia italiana esercitare il proprio potere né su uno Stato estero sovrano né su un suo delegato.

Ciò ricordato, il 2020 è stato indubbiamente un anno fondamentale per le vittime dell’affondamento della “Al Salam Boccaccio ‘98”.

Difatti, a seguito di rinvio pregiudiziale da parte del Tribunale di Genova in una delle cause gemelle pendenti aventi RINA (giudizio di rinvio affrontato dagli Avvocati Marco Bona e Stefano Bertone insieme al noto Prof. Fausto Pocar), già la Corte di Giustizia dell’Unione Europea – con la storica sentenza LG e a. c. Rina SpA e Ente Registro Italiano Navale, 7 maggio 2020, causa C-641/18 – aveva privato di fondamento l’eccezione sollevata da RINA, stabilendo il seguente principio di diritto: «L’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, deve essere interpretato nel senso che un ricorso per risarcimento danni proposto contro persone giuridiche di diritto privato che esercitano un’attività di classificazione e di certificazione di navi per conto e su delega di uno Stato terzo rientra nella nozione di «materia civile e commerciale» ai sensi di tale disposizione e, di conseguenza, nell’ambito di applicazione di tale regolamento, qualora tale attività non sia esercitata in forza di prerogative dei pubblici poteri ai sensi del diritto dell’Unione, circostanza che spetta al giudice del rinvio valutare. Il principio di diritto internazionale consuetudinario sull’immunità giurisdizionale non osta all’esercizio, da parte del giudice nazionale adito, della competenza giurisdizionale prevista da detto regolamento in una controversia relativa a un siffatto ricorso, qualora detto giudice constati che tali organismi non si sono avvalsi delle prerogative dei pubblici poteri ai sensi del diritto internazionale».

In particolare, nella sentenza della Corte di Giustizia assumono senz’altro rilievo i seguenti passaggi:

  • «le operazioni di classificazione e di certificazione, come quelle realizzate sulla nave Al Salam Boccaccio ’98 dalle società Rina, su delega e per conto della Repubblica di Panama, non possono essere considerate compiute nell’esercizio di prerogative dei pubblici poteri ai sensi del diritto dell’Unione»;
  • sempre in merito alla configurabilità dell’«esercizio di prerogative di poteri pubblici» la Corte di Giustizia ha pure sottolineato che l’attività di verifica e di certificazione non può essere considerata un’attività riconducibile all’autonomia decisionale propria dell’esercizio di prerogative dei pubblici poteri, laddove siffatta verifica, compiuta sotto diretta sorveglianza dello Stato, sia definita in tutti i suoi aspetti a livello normativo e sia svolta da «imprese a scopo di lucro che esercitano le loro attività in condizioni di concorrenza e che non dispongono di alcun potere decisionale connesso all’esercizio di prerogative dei pubblici poteri» (cfr. punti da 50 a 53 della sentenza);
  • al punto 57 la sentenza ha escluso la sussistenza di una prassi internazionale a favore di RINA: «l’immunità giurisdizionale degli organismi di diritto privato, quali le società Rina, non è generalmente riconosciuta per quanto riguarda le operazioni di classificazione e di certificazione delle navi, qualora esse non siano state compiute iure imperii ai sensi del diritto internazionale» (situazione eccezionale che non può ravvisarsi, pur dinanzi a delega statale, in relazione alle attività di «verifica della nave conformemente ai requisiti previsti dalle disposizioni legislative applicabili»).

Dunque, già per la Corte di Giustizia i parenti delle oltre 1.000 persone morte uccise nella tragedia navale del 2006 avevano diritto a coltivare le loro richieste di risarcimento danni in Italia avanti i giudici liguri. Così il comunicato stampa n. 56/20 del 7 maggio 2020 della Corte di Giustizia: «Le vittime del naufragio di una nave battente bandiera panamense possono adire i giudici italiani con un’azione di responsabilità contro gli organismi italiani che hanno classificato e certificato tale nave».

Tale approdo della Corte di Giustizia era stato preceduto dall’opinione, all’inizio del 2020, resa dall’Avvocato Generale Maciej Szpunar, che giustappunto aveva ritenuto infondata l’eccezione di immunità giurisdizionale.

Anche la Commissione europea, nella discussione avanti la Corte tenutasi a novembre del 2019, aveva sostenuto che le vittime avevano ragione e che il caso avrebbe dovuto procedere nel merito davanti ai tribunali italiani e non a Panama.

  1. La pronuncia delle Sezioni Unite nel segno dei diritti dell’uomo e del diritto di accesso alla giustizia quali limiti alla concessione dell’immunità giurisdizionale.

Venendo alla sentenza n. 28180 del 10 dicembre 2020, le Sezioni Unite, inserendosi nel solco già segnato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella predetta sentenza del 7 maggio 2020 (C-641/18), hanno definitivamente risolto la questione dell’immunità giurisdizionale sollevata da RINA, accogliendo totalmente le tesi difensive fatte valere, sin dal primo grado di giudizio avanti il Tribunale di Genova, dal pool di avvocati di cui fa parte in prima linea anche il nostro studio.

Come si anticipava in premessa, si tratta di un arresto giurisprudenziale di notevolissima importanza anche al di là del caso specifico.

Nella prima parte della sentenza la Suprema Corte ribadisce l’irrilevanza ai fini dell’immunità giurisdizionale della classificazione e certificazione in quanto attività che non si configurano come eseguite iure imperii e non implicano l’esercizio di poteri sovrani.

Per quanto concerne questa parte – senz’altro fondamentale ai fini del consolidamento di una consuetudine internazionale nettamente avversa alla concessione dell’immunità giurisdizionale a favore delle società di certificazione/classificazione marittima e, più in generale, di società private delegate da Stati di funzioni tecniche – le Sezioni Unite, nel solco già tracciato dalla Corte di Giustizia e bacchettando in più passaggi il Tribunale e la Corte di Appello di Genova, sono pervenuti alla seguente conclusione: «l’affermazione di immunità giurisdizionale dipende sì dalla sostanza dell’attività sottesa alla controversia, indipendentemente dalla natura pubblica del soggetto coinvolto nella lite, ma non può essere riconosciuta in presenza di mere attività di ordine genericamente statuale (id est, ordinariamente rimesse alla responsabilità dello Stato sebbene svolte, tramite designazione, da società private). La nozione di immunità rileva solo quando la controversia riguardi “atti di sovranità compiuti iure imperii”, per modo che, contemporaneamente e di contro, ogni affermazione di immunità deve essere esclusa tutte le volte in cui la domanda verta su atti (ovvero sulle conseguenze di atti) che in quella specifica nozione non rientrino».

In pratica, le Sezioni Unite hanno respinto definitivamente la tesi dell’immunità giurisdizionale funzionale sostenuta da RINA, accolta dal Tribunale di Genova e dalla Corte di Appello ligure.

Nella seconda parte le Sezioni Unite sono andate oltre l’indicazione – comunque già estremamente importante – di cui alla sentenza della Corte di Giustizia per la quale ogni giudice nazionale, che attua il diritto dell’Unione, deve rispettare le esigenze derivanti dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e, dunque, deve assicurarsi che l’accoglimento dell’eccezione di immunità giurisdizionale non sia tale da privare i soggetti interessati del loro diritto di adire un giudice, nel contesto per l’appunto della tutela giurisdizionale effettiva garantita dall’art. 47 (così, in particolare, il punto 55 della sentenza C-641/18: «un giudice nazionale che attua il diritto dell’Unione applicando il regolamento n. 44/2001 deve rispettare le esigenze derivanti dall’articolo 47 della Carta (sentenza del 25 maggio 2016, Meroni, C 559/14, EU:C:2016:349, punto 44). Pertanto, nel caso di specie, il giudice del rinvio dovrà assicurarsi che, qualora accogliesse l’eccezione di immunità giurisdizionale, LG e a. non sarebbero privati del loro diritto di adire un giudice, che costituisce uno degli elementi del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva di cui all’articolo 47 della Carta»).

In particolare, dinanzi alla difesa assunta dalle vittime per le quali la consuetudine internazionale del diritto all’accesso alla giustizia costituisce un limite alla concessione del privilegio dell’immunità giurisdizionale e, comunque, questa eccezione deve bilanciarsi tale diritto fondamentale così come con il diritto ad un equo giudizio ed il diritto ad un rimedio effettivo (artt. 24 e 111 Cost., nonché art. art. 6, § 1, CEDU), le Sezioni Unite hanno affermato il principio per cui l’eccezione di immunità giurisdizionale non può sottrarsi al «necessario bilanciamento col diritto umano fondamentale di accesso a un giudice».

Da questo principio le Sezioni Unite sono pervenute così a bollare la sentenza resa dalla Corte di Appello di Genova anche sul piano della violazione della centralità dei diritti dell’uomo: «ciò considerando, le Sezioni unite non possono esimersi dal constatare come gli aspetti essenziali del problema, che intercettano i diritti costituzionalmente rilevanti, siano stati tenuti in nessun conto dalla corte d’appello di Genova. La quale si è determinata sull’immotivato presupposto che, ai fini dell’immunità, debba aversi riguardo “soltanto alla funzione svolta”, quasi che all’interprete competa di valutare asetticamente se (e solo se) “tale funzione sia effettivamente una funzione statale, compiuta dal delegato in luogo dello Stato”. Codesta affermazione è in sè, nella sua indeterminatezza, errata, come s’è visto, poiché il giudizio implicava doversi stabilire se la società RINA avesse agito esercitando, all’esito del rapporto convenzionale con lo Stato di Panama, il pubblico potere strettamente connaturato all’ambito di attività iure imperii. In ogni caso non avrebbe potuto essere predicata, dovendosi considerare anche il ripetuto nesso di bilanciamento; il quale risaltava (e risalta) come punto cardinale di una conclusione ben diversa giacché, in un contesto istituzionale contraddistinto dalla centralità dei diritti dell’uomo, proprio il concorrente diritto di accesso alla giurisdizione (da assicurare nel segno di una tutela effettiva anche secondo l’art. 24 Cost.) si sarebbe dovuto inferire come ingiustificatamente ostacolato da un’affermazione generalizzata del tipo di quella fatta. Cosa che si sarebbe dovuto cogliere tenendo mente alla circostanza che l’esegesi estensiva, infine prediletta, avrebbe finito per legittimare (come in effetti ha legittimato) l’esercizio dell’azione risarcitoria solo dinanzi alle autorità panamensi, e solo di riflesso alle (inesplicate) norme di quello Stato; con l’inevitabile corollario di accettare che l’esercizio medesimo di quell’azione (dinanzi all’autorità panamense) potesse risultare infine paralizzato da una difesa esattamente speculare a quella che qui rileva. Una difesa circolare (certo), poiché incentrata sull’assunto per cui l’azione delle vittime dell’evento avesse a prospettarsi nei confronti della società delegata dinanzi agli organi giurisdizionali della sua sede, per atti (di classificazione e di certificazione) non rilevanti ai fini dell’immunità perché non implicanti l’esercizio di poteri sovrani; e purtuttavia una difesa efficace e potenzialmente tranciante rispetto a ogni varco funzionale all’accertamento di merito, in netta contrapposizione col fine ultimo di ogni processo. Di questo sviluppo avrebbe dovuto subito riscontrarsi l’insostenibilità, anche e solo sul piano dei diritti fondamentali e dei correlati equilibri costituzionali».

In pratica, le Sezioni Unite, anche sul punto respingendo le tesi sostenute da RINA ed accolto dalla Corte di Appello di Genova, hanno perorato un’interpretazione dell’immunità giurisdizionale necessariamente vincolata al rispetto dei diritti umani.

Invero, nei precedenti gradi di giudizio gli avvocati delle vittime avevano inutilmente esposto ai magistrati genovesi non solo l’infondatezza dell’eccezione di immunità alla luce del diritto dell’Unione Europea e del diritto internazionale consuetudinario, ma anche la necessità – alla luce del diritto internazionale (innanzitutto CEDU ) e del diritto costituzionale – di non concederla in ragione del gravissimo pregiudizio che sarebbe conseguito in capo alle vittime della tragedia in termini di loro accesso alla giustizia. Da un lato si trattava di tutelare i diritti fondamentali di questi, dall’altro lato la pretesa dell’immunità giurisdizionale vantata da RINA in una causa instaurata nel suo foro di residenza, dunque “a casa propria”. Gli avvocati dei danneggiati, fra l’altro, avevano segnalato che se la causa fosse stata “mandata” a Panama, laggiù le vittime non avrebbero più avuto alcuna garanzia di tutela. Anzi, al contrario, sarebbe accaduto che RINA S.p.A., una volta convenuta in giudizio avanti i giudici panamensi avrebbe eccepito il difetto di giurisdizione di questi ultimi nei suoi confronti sostenendo di essere una società di diritto italiano con sede a Genova e quindi convenibile solo davanti ad un giudice italiano!

Inoltre, gli avvocati degli attori avevano dimostrato in primo ed in secondo grado che, secondo il diritto panamense, la causa sarebbe stata dichiarata prescritta, perché nel Paese centroamericano la prescrizione è di un solo anno.

La concessione dell’immunità avrebbe dunque distrutto per sempre i diritti delle famiglie di avere un rimedio effettivo, che implica nella giurisprudenza UE e CEDU la possibilità concreta per la vittima di addivenire ad un giudizio sul merito.

La giurisprudenza genovese, come ritenuto dalla Cassazione, non si era minimamente presa in carico le problematiche di ordine superiore sollevate dagli avvocati dei danneggiati.

La pronuncia in commento rappresenta una vittoria non solo per i superstiti e per i familiari delle vittime, che dopo lunghissimi anni hanno finalmente visto riconosciuta la giurisdizione del Tribunale da loro adito per ottenere giustizia, ma indirettamente anche in termini di efficienza generalizzata dell’operato delle imprese impegnate in tale settore. Queste ora saranno chiamate all’adozione di tutte quelle misure necessarie a salvaguardare la sicurezza di passeggeri ed equipaggi in mare, nonché la salvaguardia degli ecosistemi, poiché la consapevolezza di non potersi più nascondere dietro lo scudo dell’immunità giurisdizionale e di non potersi sottrarre dalle loro responsabilità farà senz’altro disincentivare comportamenti superficiali e conseguentemente incentivare l’adozione di tutte le misure volte ad evitare tragedie.

RINA S.p.A. non appare fortunata con le eccezioni di immunità che propone. Nel caso “Erika” (petroliera affondata per colpa concorrente della società genovese, sentenza definitiva dalla Cassazione francese) l’eccezione fu proposta tardivamente e venne dichiarata inammissibile dai tribunali francesi. Nel caso odierno della Al Salam Boccaccio ’98” (traghetto che secondo le accuse degli esperti delle famiglie è affondato per colpa della società genovese) è stata sì proposta tempestivamente, ma è stata stroncata nel merito, anche se ciò ha significato dieci anni di cause e, quindi, già una significativa ulteriore ingiustizia per le vittime.

Per gli Avvocati Marco Bona e Stefano Bertone «questa sentenza delle Sezioni Unite pone fine ad una battaglia di 10 anni e dimostra come il Tribunale e la Corte di Appello di Genova si siano sbagliati a non respingere i tentativi di forum shopping di RINA».

  1. Il futuro delle cause “Al Salam Boccaccio ‘98”.

Per le vittime ed i sopravvissuti dell’affondamento dell’“Al Salam Boccaccio ‘98” si dischiude finalmente il processo nel merito delle responsabilità addebitate a RINA, anche se non mancano ulteriori eccezioni preliminari da parte di tale società (tra queste anche la tesi per cui tutte le vittime sarebbero state già risarcite in base a dei pagamenti effettuati dall’armatore egiziano, tesi respinta dai danneggiati non solo sulla base della irrisorietà dei pagamenti, peraltro rivolti solo ad alcuni attori nelle cause italiane e con significative discriminazioni tra famigliari di sesso maschile e danneggiati di sesso femminile, ma anche in considerazione dell’assenza di effetti liberatori verso RINA, che del resto non partecipò né direttamente né in via indiretta ai pagamenti).

Gli Avvocati Bona e Bertone osservano che «dopo tanti anni, l’interesse verso il caso da parte delle vittime è intatto».

Il team di avvocati si aspetta che un’indagine tecnica sull’incendio e sull’affondamento confermi che il RINA ha una parte di responsabilità nel disastro, come gli investigatori egiziani hanno già affermato all’indomani della tragedia indicando in particolare la difettosità del sistema di drenaggio dell’acqua del sistema drencher antincendio nel garage. Gli avvocati hanno recuperato alcuni ombrinali della nave gemella “Al Salam Carducci” che all’indomani della tragedia era stata prontamente inviata in India al Porto di Alang per essere demolita.

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