E’ prevista per il 17 novembre 2020 l’udienza avanti la Corte di Cassazione nella causa Presidenza del Consiglio dei Ministri c. B.V., in ordine alla quale si è recentemente espressa la Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella fondamentale sentenza C‑129/19 del 16 luglio 2020. Quest’ultima pronuncia ha fissato dei principi importanti per le vittime di reati violenti intenzionali in tutta Europa: -) il diritto di ottenere un indennizzo equo ed adeguato, riconosciuto dal diritto dell’Unione Europea (la direttiva 2004/80/CE), vale non solo per le vittime di reati intenzionali violenti commessi nel territorio di uno Stato membro che si trovano in una situazione transfrontaliera (le cd. “vittime in transito”), ma, con conseguente responsabilità dello Stato italiano che lo aveva negato, anche per le vittime che risiedono abitualmente nel territorio di tale Stato membro (le cd. “vittime residenti”); -) l’indennizzo forfettario concesso alle vittime di violenza sessuale sulla base del sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti non può essere qualificato come “equo ed adeguato” (come richiesto dall’art. 12, para. 2, direttiva), qualora sia fissato senza tenere conto della gravità delle conseguenze del reato per le vittime, e non rappresenti, quindi, un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito; in altri termini, non solo i danni materiali, ma anche quelli non patrimoniali (biologici, morali) devono essere riparati in modo soddisfacente nel sistema indennitario posto a carico dello Stato dalla direttiva. A quest’ultimo riguardo si legge nella sentenza della Corte di Giustizia quanto segue: «uno Stato membro eccederebbe il margine di discrezionalità accordato dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 se le sue disposizioni nazionali prevedessero un indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti puramente simbolico o manifestamente insufficiente alla luce della gravità delle conseguenze del reato per tali vittime» (§ 63). Peraltro, la Corte di Giustizia ha specificato che ogni legislatore deve provvedere ad istituire una “scala degli indennizzi” che sia dettagliata, «così da evitare che l’indennizzo forfettario previsto per un determinato tipo di violenza possa rivelarsi, alla luce delle circostanze di un caso particolare, manifestamente insufficiente» (§§ 65 e 66). Quest’ultimo requisito, al di là del quantum degli indennizzi (invero modesto per tutte le vittime), non risulta in nessun modo soddisfatto dal legislatore italiano, ciò anche con riferimento alle vittime di violenze sessuali per le quali il decreto ministeriale del 22 novembre 2019 («Determinazione degli importi dell’indennizzo alle vittime dei reati intenzionali violenti»), entrato in vigore il 23 gennaio 2020, prevede l’importo fisso di euro 25.000. Questo indennizzo, infatti, non distingue tra le diverse tipologie di violenze sessuali, e neppure tra violenze individuali e violenze di gruppo. Esso, inoltre, non considera le circostanze concrete di ciascun singolo caso così come non permette di distinguere a seconda della gravità delle conseguenti ripercussioni biologico-psichiche o dei pregiudizi sulle attività lavorative; peraltro, tale importo è di gran lunga inferiore agli indennizzi stabiliti dai tribunali. Deve pure notarsi come in base all’art. 31, comma 2, della Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne dell’11 maggio 2011 – ratificata dall’Italia legge del 27 giugno 2013, n. 77 ed entrata in vigore in data 1° agosto 2014 – alle vittime in questione deve essere garantito non già un indennizzo, bensì un «adeguato risarcimento». A rappresentare la vittima dinanzi la Corte di Giustizia UE ed ora nuovamente in Cassazione sono gli Avvocati Marco Bona, Umberto Oliva, Francesco Bracciani e Vincenzo Zeno-Zencovich. La sentenza della Corte di Giustizia era intervenuta nella “causa pilota” intentata a Torino contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri da una giovane ragazza vittima, nel 2005, a Torino di sequestro di persona, violenza sessuale e percosse. La ragazza non era riuscita ad essere risarcita dai due violentatori, pur condannati in sede penale, ma senza risorse economiche e resisi irreperibili nel corso del procedimento penale. Oggetto di questa causa era la direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004. All’art. 12, para. 2, questa statuisce per tutti gli Stati UE il seguente obbligo: «Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime».